Il presidente di Assofranchising, la più antica associazione tra franchisor in Italia, Alberto Cogliati, delinea stato di salute e trend del settore.
Italia patria dell’individualismo? Forse. Ma non nel franchising, il sistema commerciale in espansione nel mondo, da decenni, che si basa proprio sul networking e la collaborazione tra partner, sotto la stessa insegna.
In Italia la prima rete in franchising partì nel 1970 e un anno dopo, 53 anni fa, si costituì la prima associazione tra affilianti, l’Associazione Italiana del Franchising.
Assofranchising oggi comprende 80 insegne, da piccole catene in fase di startup a brand grandi e medio grandi. Dall’inizio del 2024 è stato eletto presidente Alberto Cogliati, dopo tre anni come Segretario nell’Associazione. Un’elezione con votazione unanime dei consiglieri, a seguito delle dimissioni di Dario Baroni, ex Ad di McDonalds Italia, che ha avuto un nuovo incarico, a livello europeo. «I nostri soci sviluppano un giro d’affari di oltre 12miliardi di euro, pari allo 0,7 % del Pil. Contano su 15mila punti vendita operativi e occupano 80 mila persone, nelle reti» spiega Cogliati.
Le reti in franchising “fanno rete” tra loro, in Italia?
«Quelle in Assofranchising sì. Il franchising si basa su due asset: il marchio e il network, un modo di vivere e condividere esperienze e buone pratiche. Non solo tra affiliante e affliato, ma anche tra reti. L’associazione crea occasioni ed eventi dove i soci si incontrano e si confrontano, per migliorare. Il potenziale di un network si moltiplica grazie allo scambio. Soprattutto dopo il Covid».
Qual è il ruolo di Assofranchising?
«Dopo la pandemia, abbiamo avviato una trasformazione completa. Facciamo ancora attività di lobby e nelle associazioni europea e mondiale, l’European Franchise Federation e il World Franchise Council, ma oggi ci concentriamo sui servizi. Abbiamo ascoltato i bisogni dei soci e stretto accordi con aziende che erogassero i servizi richiesti. L’anno prossimo li miglioreremo e ne aggiungeremo altri, se emergeranno nuove esigenze. Ne abbiamo a disposizione una trentina. I principali sono l’accesso al credito, la ricerca di personale qualificato, il ricorso a società di studi economici, per analizzare i dati necessari a mettere a punto strategie di sviluppo e gestione».
Qual è stata l’esperienza più formativa e più significativa, per lei?
«Sono entrato ne franchising nel 2003, da allora ho cambiato alcune aziende nell’ambito de real estate. Tutte esperienze importanti. La più formativa è stata la prima, in Pirelli re franchising, la più significativa in Gabetti, la più appagante l’ultima, in Engel & Völkers, un’azienda internazionale che mi ha consentito di occuparmi di immobili di pregio».
Quali cambiamenti ha visto dopo la pandemia?
«Cambiamenti straordinari. Abbiamo intervistato persone in posizioni apicali e abbiamo trovato manager consapevoli, appassionati, sul pezzo. Le catene hanno dovuto riposizionarsi, collocarsi sul mercato in modo diverso, offrire servizi, con particolare attenzione ai loro franchisee. E i franchisee a loro volta hanno tirato fuori energia, attenzione, impegno maggiori. Si è ritrovato un nuovo equilibrio, perfetto nel sistema».
Numeri interessanti dal Rapporto Assofranchising Italia 2024 – Strutture, Tendenze e Scenari (Nomisma – Assofranchising)?
«Il mercato è in salute, con una crescita del 9,9 % rispetto al 2022e un giro d’affari che sfiora i 34 miliardi di euro, pari all’1,8% del Pil. I punti vendita sono 65806, aumentati di 4600 unità. Cresce anche l’occupazione: 290mila occupati, con 35 mila persone in più. La GDO è al primo posto, secondo settore l’abbigliamento, terzo i servizi. Appena sotto il podio la ristorazione, che è in crescita. Nessuna flessione pesante, semmai è prevista un’impennata per il 2024 dei franchising di cura della persona e benessere, servizi e ristorazione».
Il franchising è ancora un valido mezzo per avviare un’attività imprenditoriale?
«Sì, è l’unica soluzione che consente di abbattere i rischi. Basti vedere quanti negozi singoli indipendenti chiudono. I nostri momenti di confronto permettono di far conoscere esempi virtuosi e storie di successo. Al franchising si accosta chi vuole cominciare un’attività imprenditoriale, ma anche chi vuole diversificare il suo business».
Ostacoli al diffondersi delle reti e alla nascita di nuove insegne?
«Per diventare franchisor non ci sono ostacoli da superare, ma step da percorrere. Un’attività si qualifica come seria e duplicabile solo dopo la necessaria sperimentazione. Servono consulenti legali per impostare un business plan, formulare un contratto adeguato e posizionarsi correttamente sul mercato. Come legislatore mi limiterei a fare riforme per migliorare il funzionamento del sistema Italia e fare il modo che il nostro Paese conti di più a livello internazionale».
Qual è la presenza in Italia di marchi d’Oltralpe?
«I contatti col mercato francese sono attivi. Tra le insegne francesi più dinamiche nostre associate che operano in Italia c’è il Gruppo Midas. Tra le italiane posizionate Oltralpe, quelle del Gruppo Calzedonia. Guardo con ammirazione alla diffusione del franchising in Francia: il giro d’affari è cinque volte il nostro, quattro volte il numero degli addetti e tre volte quello dei punti vendita. Là si fa più cultura dell’affiliazione anche durante il percorso scolastico e universitario. Scegliere il franchising per molti è un piano A. E un’opportunità, in un percorso di outplacement. Se in Italia si operasse così e anche solo l’1% dei 750mila lavoratori che hanno dato le dimissioni nel 2022 scegliessero la strada dell’affiliazione, avremmo 7500 nuovi franchisee».
Che cosa preparate per il Salone Franchising di Milano?
«Accoglieremo nuovi partner e associati. Il 27 settembre abbiamo in programma un main stage sullo sviluppo delle reti».