Franchisee: imprenditore dimezzato o potenziato? 

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Il tema è molto dibattuto. Ogni volta che la formula del franchising entra in gioco in un settore, le critiche degli addetti ai lavori prendono di mira il ruolo del franchisee, spesso additato come “mezzo imprenditore” nel confronto con chi si è fatto da sé nel mestiere o nella professione.


A nostro avviso molto si gioca attorno alla caratteristiche personali di ciascun interlocutore, alla tipologia di pacchetto franchising proposto e alle prerogative di base dell’azienda proponente.

In merito al primo aspetto, la scelta di operare in un gruppo oppure da soli ha poco a che fare con l’imprenditorialità dell’individuo, quanto con le singole attitudini. Ci sono ad esempio imprenditori che rifuggono ogni forma di associazionismo di categoria, mentre altri che ne sono fautori. 

Così come ci sono sportivi portati per le discipline di gruppo, altri per quelle individuali, ma nessuno discute sul fatto che in entrambi i casi si possa essere eccellenti o pessimi atleti. 

Operare in una rete di franchising è una opzione imprenditoriale che comporta limitazioni e vantaggi, tanto quanto lo è quella di fare da soli. 

Prendiamo ad esempio il know-how: si può decidere di maturarne uno proprio, imparando il mestiere sul campo, sperimentando le conoscenze acquisite direttamente nella propria impresa, migliorando attraverso i propri errori e le proprie scelte vincenti. 

In questo caso le limitazioni sono quelle del tempo necessario, delle risorse economiche da investire, delle competenze proprie e di terzi di cui si può disporre. Il vantaggio è, magari, di realizzare un’impresa con caratteristiche originali e uniche. 

Nel franchising, laddove il progetto è serio e qualificato, il know-how è stato messo a punto da altri, attraverso lo stesso percorso sopra descritto. In più, nei casi in cui la rete è già sviluppata, è stato sperimentato e migliorato attraverso il lavoro di molti, in aree geografiche diverse. 

L’imprenditore affiliato può così minimizzare il tempo di apprendimento, risparmiando risorse, usufruendo di un lavoro di staff e, non ultimo, avviando la sua impresa con una capacità competitiva, sia pur di base, immediata. 

Le limitazioni sono soprattutto legate alla attitudine ad assimilare e “sposare” sistemi, linguaggi, metodi, abitudini e comportamenti che altri hanno definito. 

A questo proposito c’è chi ritiene che il franchising, standardizzando alcuni elementi in un formula, mortifichi l’individualità dell’imprenditore. 

Qui entra in gioco la tipologia di rapporto che il franchisor instaura con il franchisee. Se l’obiettivo del primo è il successo del secondo (così dovrebbe essere) gli standard si limitano ad impedire errori o comportamenti scorretti e quindi costituiscono la base su cui il singolo imprenditore costruisce l’edificio del suo valore aggiunto. 

Un imprenditore dà il meglio di sé e della sua creatività nella gestione personalizzata del rapporto con i propri clienti: in questo senso il franchisor stesso non ha nessun interesse a creare vincoli contrattuali o limitazioni di sorta. 

Un ambito nel quale invece l’appartenenza ad una rete può risultare apparentemente limitante è quello della selezione dei fornitori. In questo caso contano molto le prerogative dell’azienda franchisor. Il caso estremo è quello di reti mono prodotto. 

Se l’azienda affiliante è produttrice, o emanazione di un produttore, può darsi che i vincoli imposti all’affiliato dal punto di vista della gamma offerta siano maggiori. 

In queste situazioni il destino dell’attività affiliata è legato a doppio filo (sia in negativo che in positivo) a quello dei prodotti distribuiti. 

In generale però, più una rete è diffusa e più sarà facile per il franchisor allargare la propria offerta, proponendo ai franchisee una selezione di fornitori e un assortimento di prodotti più ampio e vincente. 

In questi casi, il vincolo può trasformarsi in una opportunità: quella di ottenere facilitazioni e condizioni di privilegio grazie al potere contrattuale e alla forza di gruppo. 

Quello della forza di gruppo nei confronti dei fornitori è un tema che solitamente avvicina alle logiche del franchising non solo i neo-imprenditori, ma anche gli operatori già esistenti. Ne sono testimonianza le varie iniziative riconducibili alla formula dei gruppi d’acquisto, che creano sodalizi finalizzati allo scopo. 

Il fatto che anche imprenditori o commercianti già esperti decidano di sposare una logica di gruppo, magari concedendo qualcosa in termini di autonomia di marchio, di segni distintivi, e di metodo di lavoro, dice molto sulla sempre più diffusa necessità di aggregazione. 

In questa direzione, il franchising cosiddetto di “conversione” di operatori esistenti, va solo un po’ oltre, uniformando i già citati standard, in particolare in relazione al metodo di lavoro, agli strumenti competitivi, alla strategia di rete. 

Un altro degli elementi considerati limitanti del franchising è quello dell’identità dell’offerta, caratterizzata da un marchio, da un’insegna, da segni distintivi comuni. L’idea di sposare un marchio noto sfruttandone la notorietà e la forza comunicativa è accolta in modo discordante. 

C’è chi ne enfatizza i vantaggi e chi le limitazioni. L’imprenditore singolo è solito rivendicare il valore della propria identità e costruisce la notorietà del suo marchio attraverso iniziative di comunicazione mirate, spesso circoscritte al proprio territorio. Anche in questo caso procede per tentativi, sperimentando in prima persona strumenti e modalità caratteristiche. 

Il franchisee sfrutta fin da subito il valore aggiunto della marca, potenziandolo a livello locale con interventi “su misura”. Le limitazioni alla libertà di azione del singolo affiliato possono essere consistenti, dal momento in cui va tutelata nel contempo un’identità comune e la presenza in un territorio limitrofo di altri affiliati. 

Ma l’effetto sinergico di azioni di comunicazione istituzionali e locali, unito alle economie di scala nella gestione dell’immagine e all’utilizzo di strategie sperimentate, possono avvantaggiare notevolmente l’attività del franchisee rispetto a quella dell’imprenditore isolato. 

Un altro aspetto controverso è quello relativo ai costi, che penalizzerebbero il franchisee rispetto a chi fa da sé. 

Diritti d’entrata, corsi di formazione, royalties, contributi pubblicitari, sono certamente voci di spesa caratteristiche del franchising, che il singolo non si trova ad affrontare. 

Il “peso” di questi costi può anche essere consistente ed è quindi del tutto giustificato un atteggiamento di prudente valutazione da parte dell’imprenditore posto di fronte al bivio dell’affiliazione o del fai-da-te.

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