Il microcredito che fa la differenza

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Un finanziamento contenuto può dare il via a un’impresa. Ecco come funziona il microcredito, in particolare nel franchising.


Le banche ti finanziano, ma in genere chiedono garanzie ipotecabili o una storia imprenditoriale pregressa. Come cominciare in franchising se non hai esperienza nell’impresa o un capitale tuo? Una strada la apre il microcredito, con finanziamenti di entità contenuta destinati allo sviluppo di un’idea imprenditoriale. 

In Italia è stato istituito nel 2011 l’Ente nazionale per il Microcredito, che coordina la promozione della microfinanza in Italia e sostiene l’accesso al credito di microimprese e lavoratori autonomi. Accanto a questa istituzione, c’è una rete di operatori, banche convenzionate e intermediari finanziari autorizzati, che eroga microfinanziamenti.

Per conoscere meglio questo veicolo finanziario, rivolgiamo alcune domande a Paul Crabtree, AD e presidente del consiglio di amministrazione di Mikro Kapital Spa. Fa parte di un network presente in 13 Paesi euroasiatici, con 170 filiali e 2mila dipendenti, circa 190 mila clienti attivi e 400milioni di asset gestiti. Crabtree ha alle spalle una lunga carriera in Unicredit e dal 2023 si è dedicato allo sviluppo del microcredito. 

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Paul Crabtree, AD e presidente del consiglio di amministrazione di Mikro Kapital Spa

Siete una banca?

«Facciamo quello che fa una banca, nel finanziamento del mondo dell’impresa. Operiamo in Italia dal 2017, con licenza attivata da Banca d’Italia: è suo il compito dare licenze alle società che operano nel microcredito».

Da dove arrivano i capitali con cui erogate i finanziamenti?

«La tesoreria lussemburghese emette obbligazioni sottoscritte da investitori privati e istituzionali. Questo genera la liquidità che poi impieghiamo». 

Avete accesso a fondi europei?

«Dovremmo essere i primi ad avere un supporto per le nostre azioni di sostegno e sviluppo. Ma le istanze portate avanti per ottenere funding a condizioni agevolate dal Fondo Europeo per gli Investimenti non sono mai andate avanti. Per una grande Banca è tutto più semplice».

Che cifre si possono ottenere col microcredito?

«75mila euro alle società di persone e ditte individuali, con un massimo di cinque dipendenti, fino a 100mila euro per srl con un massimo di dieci dipendenti. I limiti sono stabiliti dalle norme».

Chi ricorre al microcredito in Italia?

«In 35 anni di lavoro nel Gruppo Unicredit ho imparato che chi vuole fare impresa in Italia deve avere una buona idea, un business plan ben costruito e sostenibilità. Ma se non ha almeno due bilanci depositati con risultati positivi e non ha uno stoico creditizio, non ottiene un finanziamento da una banca». 

Che differenza c’è tra un finanziamento bancario e un microcredito?

«Il microcredito è un prodotto finanziario protetto da una garanzia statale, data gratuitamente dal Fondo Centrale di Garanzia, che copre fino all’80% del default. Le banche chiedono garanzie reali, per esempio ipoteche sugli immobili. E i piccoli imprenditori possono non averne. In Italia circa 500mila partite Iva aprono ogni anno, tra loro ci sono artigiani e produttori di qualità. A loro lo Stato offre la garanzia sul default. Invece, chi eroga microcredito non vuole che si arrivi al default, anzi migliora le possibilità di buona riuscita dell’impresa. Certo, la nostra raccolta di liquidità è più onerosa, quindi gli oneri per chi ottiene un credito sono più costosi».

Qual è la situazione del microcredito in Italia?

«È un mercato fumoso. Nel febbraio 2025 è stato presentato il terzo Rapporto annuale sul microcredito e l’Inclusione finanziaria, un’indagine sull’accesso al credito per cittadini e imprese in Italia, nato dalla collaborazione tra Gruppo Banca Etica, c.borgomeo&co. e Rete Italiana di Microfinanza (RITMI)». (Ne emerge un forte rallentamento del credito erogato dalle banche, nel 2022, e il ruolo del microcredito come importante strumento di inclusione finanziaria, ndr)

Che garanzie sono richieste a chi chiede un finanziamento?

«L’unica richiesta all’imprenditore è una fidejussione, una garanzia morale, l’impegno a trovare modo di ripagare il finanziamento». 

Offrite consulenza: quanto costa?

«È compresa nel pacchetto, lo precisano le norme sul microcredito. Noi eroghiamo gratis la costruzione del business plan con il cliente, in fase istruttoria, e il monitoraggio nel corso del piano di ammortamento del finanziamento, per indicare al cliente criticità del progetto ed eventuali correttivi per farlo funzionare».

Come si restituisce il finanziamento?

«Il microcredito funziona come un mutuo. C’è un piano di ammortamento, il capitale più l’interesse si restituisce tramite un addebito mensile, con rate a tasso fisso. I nostri microcrediti sono rivolti alle startup (fino a 30mila euro, restituibili al massimo in 60 mesi con 6 mesi di preammortamento, per tenere bassa le rate iniziali e permettere l’avviamento del business) e alle imprese avviate da almeno sei mesi (fino a 75 mila euro, in 84 mesi, a tasso fisso).

Il microcredito aiuta lo sviluppo del franchising?

«Il franchising cerca di svilupparsi in modo vertiginoso, anche in Italia. Parlando con i franchisor emergono i loro problemi nello sviluppo delle reti, perché i franchisee sono in genere neoimprenditori: pochissimi hanno un proprio patrimonio e chi non ce l’ha fatica ad accedere ai finanziamenti bancari. Per entrare in questo mercato, possiamo interagire con i franchisee, valutando il modello di franchising tramite le informazioni che ci forniscono, ma è una via faticosa per noi. Più utile ed efficace la collaborazione con una società di sviluppo che certifichi i franchisor e ci dia la sua valutazione sulla bontà del modello. Lo facciamo con Affilya. Tramite loro, a un portafoglio di franchisor certificati. Ognuno fa la sua parte: il franchisor sviluppa l’idea, Affilya ne certifica la sostenibilità, noi valutiamo il merito e la credibilità dell’imprenditore con un processo più semplice ed eroghiamo il finanziamento in tempi molto rapidi, circa 48 ore». 

A voi si rivolgono anche affiliati singoli?

«Sì, magari interessati ad entrare in reti non certificate. In questo caso i tempi si allungano fino a un mese, un mese e mezzo»

Consigli?

«Aderire a reti di franchising con un progetto consolidato e uno storico finanziario. In Italia, ci sono neo imprenditori che hanno un’idea carina e sono convinti di poter sviluppare rapidamente reti in franchising, per incassare royalty e poi vendere tutto a un fondo. Un comportamento molto lontano da quello dei franchisor più solidi, con modelli certificati. I franchisor devono fornire informazioni, per legge, sul loro brand, il modello di business, la storia della rete, le scelte di marketing e il tasso di sopravvivenza dei punti vendita. Chi valuta una catena deve analizzarne storicità, sopravvivenza punti vendita, assetto dei supporti forniti dal franchisor ai franchisee (accompagnamento, gestione, marketing…). Un franchisor deve curarsi della crescita dei franchisee, non seguire solo il suo interesse. Chi si affida con entusiasmo a un progetto senza fare queste valutazioni rischia di buttare i suoi soldi».

Cosa vede nel futuro del franchising?

«Il made in Italy produce prodotti unici e di qualità. Il franchising dà la possibilità a piccoli produttori di diventare grandi. La globalizzazione dà muscoli alle major, il franchising invece può far emergere le singolarità, permette loro di crescere con il modello di affiliazione, che non richiede a un imprenditore di avere tutte le risorse per espandersi velocemente. Anche al livello internazionale».

Potete aiutare uno sviluppo di un brand all’estero?

«La nostra rete internazionale supporta l’espansione di un brand sui mercati dove siamo presenti».

E nel vostro futuro cosa c’è?

«Siamo un modello dinamico. Ci occupiamo anche di altri ambiti, oltre al franchising. Per esempio, di imprese nell’edilizia, supportando quelle alle prese con il disastro del 110%, per aiutarle a monetizzare i loro crediti, nel fotovoltaico e nel turismo, per fronteggiare i problemi di stagionalità».

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